IPCTE (CTEPH)

Quadro clinico e opzioni di trattamento (CTEPH)

Introduzione

L’ipertensione polmonare è un gruppo di malattie caratterizzate da pressione elevata nella cosiddetta piccola circolazione, ovvero il tratto di circolazione tra il cuore destro e il cuore sinistro. Poiché nella piccola circolazione il sangue deve percorrere solo un breve tratto per arrivare ai polmoni e ossigenarsi, è sufficiente una pressione sei volte inferiore, cioè circa 20/8 mmHg, rispetto a quella normalmente presente nella grande circolazione corporea. Con l’espressione “ipertensione polmonare” si identifica uno stato in cui la pressione media nell’arteria polmonare supera 25 mmHg. Dal punto di vista clinico l’ipertensione polmonare viene classificata in 5 gruppi principali:

  1. Ipertensione arteriosa polmonare (IAP)
  2. Ipertensione polmonare conseguente a malattie del cuore sinistro
  3. Ipertensione polmonare conseguente a malattie polmonari
  4. Ipertensione polmonare tromboembolica cronica (CTEPH)
  5. Ipertensione polmonare conseguente a malattie vascolari polmonari rare

In caso di diagnosi di ipertensione polmonare, occorre in primo luogo escludere malattie del cuore sinistro e/o dei polmoni (gruppi 2 e 3), poiché in questi casi è opportuno il preliminare trattamento della malattia soggiacente. Successivamente, occorre generalmente distinguere tra ipertensione arteriosa polmonare (IAP) e ipertensione polmonare tromboembolica cronica (CTEPH).

La causa della CTEPH continua ad essere sconosciuta. Il fatto che la trombosi venosa profonda e l’embolia polmonare acuta, oggi identificate collettivamente con il termine “tromboembolia acuta”, siano molto frequenti (negli Stati Uniti si stimano dai 300.000 ai 500.000 casi all’anno), è in netto contrasto con la frequenza della CTEPH. Non esistono dati precisi a tale riguardo, ma il fatto che fino ad oggi siano stati eseguiti a livello mondiale probabilmente solo circa 2500 interventi chirurgici per la CTEPH (di questi più di 1500 presso l’Università della California di San Diego) conferma che il quadro clinico in questione è piuttosto raro. In questo contesto occorre considerare, come sempre nel caso dell’ipertensione polmonare, che in molti casi manca una reale diagnosi. Fino a poco tempo fa si ipotizzava che solo circa 1 paziente su 10.000 sviluppasse una CTEPH dopo aver superato una tromboembolia acuta. Numerosi studi hanno tuttavia indicato una frequenza fino al 5%. Entrambi i dati sono probabilmente valori estremi, pertanto la verità dovrebbe stare nel mezzo.

In Svizzera, ogni anno sono interessate dalla CTEPH circa 2 persone per milione di soggetti adulti, il che corrispondente a 10-15 nuovi casi all’anno. Il 30% dei pazienti è operabile, mentre per la restante parte dei pazienti le opzioni terapeutiche includono l’uso del medicamento omologato (riociguatAdempas®”) oppure l’angioplastica con palloncino delle arterie polmonari.

Il tasso di mortalità entro un anno da tromboembolia acuta è di circa il 25%; tuttavia, in questo caso la causa della morte è riconducibile alla tromboembolia solo in circa un paziente su dieci, in quanto la maggior parte dei pazienti muore per cause dovute a malattie soggiacenti, quali patologie cardiopolmonari, cancro e patologie infettive. Il tasso di mortalità a un anno nei pazienti senza patologie cardiopolmonari soggiacenti si aggira intorno al 3 – 9%.

Dopo una tromboembolia acuta si verifica generalmente una dissoluzione del coagulo di sangue nella circolazione polmonare. Questo processo interviene contestualmente a una terapia anticoagulante della durata di 3 – 4 settimane. In presenza di coaguli di sangue non dissolti, è anche possibile che il sangue si crei nuovi percorsi attraverso il coagulo, portando alla formazione di nuovi microvasi. In circa il 20% dei pazienti si ha solo una parziale regressione dell’ostruzione vascolare, tanto che dopo 3 – 4 mesi uno o più segmenti polmonari risultano ancora non vascolarizzati. Nella cosiddetta scintigrafia ventilo-perfusoria, queste zone sono visibili sotto forma di lesioni cavitarie di forma triangolare (Figura 1). In queste zone non si verifica tuttavia la morte del tessuto polmonare, poiché il polmone continua ad essere rifornito di sangue attraverso la circolazione corporea, ovvero tramite le arterie bronchiali.

  (Figura 1)

L’aspetto interessante nella CTEPH è che in quasi la metà dei casi non è presente un’anamnesi di tromboembolia acuta. Inoltre, fino ad ora numerose indagini diagnostiche non hanno permesso di accertare fattori di rischio per altro tipici della tromboembolia né disturbi della coagulazione noti, eccetto che per la cosiddetta sindrome da anticorpi anti-fosfolipidi o lupus anticoagulans. Ciò consente di ipotizzare che la CTEPH e la tromboembolia acuta non siano affatto due quadri clinici sovrapponibili o che la prima non derivi dalla seconda, ma che la CTEPH sia a tutti gli effetti una malattia delle arterie polmonari separata. Tuttavia, si tratta ancora solo di una supposizione e la maggior parte degli esperti continua a considerare la CTEPH come una conseguenza della tromboembolia acuta.

I sintomi e i riscontri clinici della CTEPH sono simili a quelli dell’ipertensione arteriosa polmonare (IAP) e sono probabilmente perfettamente noti alla maggior parte dei lettori di questo sito web. Come per l’ipertensione polmonare in generale, i problemi principali riguardano il fatto che, in primo luogo, il profilo dei disturbi non è affatto specifico, in secondo luogo, che i riscontri diagnostici sono spesso travisati e, in terzo luogo, che il quadro clinico è poco noto a causa della sua relativa rarità. Il mio motto rimane sempre: “Le malattie più rare sarebbero più frequenti se fossero diagnosticate più di frequente”. Se esiste la concomitanza dei seguenti fattori, occorre comunque ipotizzare sempre un’ipertensione polmonare:

  • Difficoltà respiratoria (dispnea) crescente sotto sforzo
  • Test della funzionalità polmonare normale
  • Radiografia polmonare normale e/o refertata “nella norma”.

Purtroppo, spesso il sintomo della difficoltà respiratoria (dispnea) può essere descritto solo in termini approssimativi. Alcuni pazienti lamentano una stanchezza generalizzata, debolezza alle gambe oppure semplicemente uno stato di depressione. Sono frequenti anche dolori toracici sordi, che vengono erroneamente ricondotti a una malattia cardiaca, oppure vertigini e crisi di perdita di coscienza, di cui si ricerca la causa in disturbi del sistema nervoso. Sono piuttosto rare manifestazioni come tosse secca o espettorazione di sangue e anche raucedine. Nei casi avanzati, l’accumulo di acqua nell’organismo provoca aumento di peso, aumento della circonferenza addominale e gonfiore alle gambe.

Purtroppo, spesso oggi non viene data la dovuta importanza all’accertamento clinico. Mi stupisco sempre più della rapidità con cui i miei studenti, dopo aver rilevato un rafforzato impulso del cuore destro, auscultato l’alta tonalità del secondo tono cardiaco ed esaminato il restringimento delle vene giugulari o la ritenzione idrica localizzata alle gambe, giungono a una possibile diagnosi di ipertensione polmonare sulla base di pure deduzioni logiche e senza conoscere preventivamente il quadro clinico. Il fatto è che, purtroppo, oggi trascorrono in media due anni tra la segnalazione dei primi segni della malattia e la formulazione della diagnosi.

 

Se sussiste almeno il sospetto di un’ipertensione polmonare, viene facilitato il successivo processo di accertamento. L’esecuzione di un ecocardiogramma avvalora la diagnosi. Successivamente, con l’ausilio di una scintigrafia ventilo-perfusoria, che prevede l’iniezione in vena di una ridotta quantità di microparticelle radioattive, è possibile esaminare la vascolarizzazione del polmone e distinguere chiaramente tra una CTEPH con le lesioni di forma triangolare della vascolarizzazione polmonare e una IAPI con riscontro scintigrafico praticamente nella norma (Figura 1). Successivamente, a nostro avviso si dovrebbe eseguire in ogni paziente un cateterismo cardiaco destro e nella CTEPH anche una cosiddetta angiografia polmonare, ovvero una tecnica diagnostica basata sull’introduzione di un catetere (Figura 2) per pianificare la successiva procedura da seguire. È importante che entrambi gli esami vengano effettuati presso un centro specializzato, che dovrebbe essere anche lo stesso di un eventuale intervento chirurgico successivo.

  (Figura 2)

Le opzioni terapeutiche conservative, ossia non chirurgiche, per la CTEPH sono limitate e indicate esclusivamente nei casi in cui il paziente non è candidato a intervento chirurgico. Si raccomanda, pertanto, di accertare in primo luogo per tutti i pazienti la possibilità di un intervento chirurgico, essendo questa l’unica terapia realmente efficace per la CTEPH. Ciò si spiega con il fatto che la CTEPH è un problema principalmente “meccanico” il quale, di conseguenza, può essere risolto in modo altrettanto “meccanico”, cioè chirurgicamente. È opportuna una terapia medicamentosa effettivamente solo nei casi in cui non sia possibile un intervento chirurgico in base alla valutazione dell’angiografia polmonare da parte del chirurgo.

Fino agli inizi del 2014, la CTEPH non operabile era una malattia senza alcuna terapia medicamentosa omologata disponibile.

Nel frattempo, la situazione è cambiata, poiché l’esito positivo di uno studio di fase III ha permesso di omologare riociguat come il primo, e fino ad ora l’unico, principio attivo per la terapia della CTEPH non operabile o persistente dopo chirurgia.

Riociguat è uno stimolatore della guanilato ciclasi solubile, che è in grado di indurre le cellule bersaglio, tra cui le cellule muscolari lisce delle arterie polmonari, a produrre guanosin monofosfato ciclico (cGMP). Viene attivata in tal modo un’azione vasodilatatoria.

L’effetto può essere descritto come una dilatazione dei vasi polmonari conseguente a un rilassamento del muscolo liscio delle pareti vascolari. Ciò consente di ottenere un miglioramento della capacità fisica e della qualità di vita nei pazienti con CTEPH. A livello concreto, la distanza percorribile dal paziente con CTEPH in 6 minuti di marcia è aumentata di 39 metri in 16 settimane in caso trattamento con riociguat. Sono migliorate anche la resistenza vascolare polmonare e la classe funzionale NYHA.

Il medicamento deve essere assunto continuativamente, poiché questa terapia non consente una guarigione dalla malattia.

Angioplastica con palloncino delle arterie polmonari

In numerosi pazienti con CTEPH può essere operato tuttavia un solo lato del polmone.

Nei pazienti operati su un solo lato, il successo di guarigione è stato fino ad ora inferiore e associato a un tasso di sopravvivenza più basso rispetto a quello nei pazienti operabili a entrambi i lati. Quando viene assolutamente esclusa questa tecnica chirurgica, l’uso del catetere a palloncino (BPA) in aggiunta alla terapia medicamentosa può migliorare notevolmente i disturbi nei pazienti.

L’angioplastica polmonare con palloncino (BPA) è una tecnica mini-invasiva eco-guidata con catetere ad accesso vascolare (per lo più a livello inguinale per via percutanea) eseguita in anestesia locale. La procedura prevede la dilatazione sotto controllo radiologico delle arterie polmonari ristrette mediante l’inserimento di un sottile palloncino allo scopo di facilitare il flusso sanguigno attraverso i polmoni. Le arterie polmonari risultano facilmente accessibili mediante angioplastica con palloncino, poiché all’interno di questi vasi i residui dei coaguli formano spesso delle strutture stratificate che vengono “tagliate” durante la procedura, migliorando notevolmente lo scorrimento del sangue nelle arterie polmonari. La terapia interventistica della CTEPH è relativamente nuova. I risultati ottenuti fino ad ora nell’impiego clinico sui pazienti non operabili sono comunque eccellenti. Per evitare complicanze, durante ogni “seduta” vengono trattati in generale sempre solo pochi vasi polmonari per volta. Per una terapia completa sono necessarie normalmente 3-4 sedute di trattamento, effettuate ad intervalli di circa 4 settimane.

L’angioplastica polmonare con palloncino consente di “riaprire” almeno una parte dei vasi polmonari ristretti e/o occlusi. In tal modo, si riduce (o persino si elimina) il sovraccarico del cuore, migliorando i disturbi e riducendo il rischio di collasso cardiocircolatorio.

Un prerequisito fondamentale per l’esecuzione del trattamento è comunque la competenza dimostrata di un team di esperti in CTEPH.

Sito aggiornato dell’UniversitätsSpital Zürich Articolo specifico riguardante la CTEPH

Da più di 30 anni viene attuato un intervento chirurgico che, nel migliore dei casi, consente di ottenere una guarigione dell’ipertensione polmonare. Si tratta della cosiddetta endoarterectomia polmonare (PEA), in passato definita anche “romboendoarterectomia”. La procedura prevede l’apertura della gabbia toracica in corrispondenza dello sterno e la successiva dissezione della parete vascolare con un taglio verticale al centro del tronco principale dell’arteria polmonare. (Abbildung 3).

(Abbildung 3)

Successivamente, sul lato destro si “sfoglia” la struttura a tre strati della parete vascolare (Figura 4) per l’intera circonferenza, separando la tonaca interna da quella media della parete.

(Abbildung 4)

A questo punto, il chirurgo procede su questa tonaca lungo la parete vascolare, possibilmente fino alla seconda o terza ramificazione dell’arteria polmonare destra. Si tratta di una procedura estremamente delicata, poiché la visibilità è naturalmente molto limitata e il chirurgo deve fare affidamento sulle proprie conoscenze esperte di anatomia e sulla propria esperienza. Se il chirurgo perde troppo presto il controllo sulla tonaca, l’arteria polmonare viene aperta solo in misura inadeguata o, nel peggiore dei casi, la parete vascolare può addirittura lacerarsi. In gran parte dei casi, tuttavia, il chirurgo riesce ad avanzare lungo la parete vascolare fino alla terza ramificazione dell’arteria polmonare o anche oltre e, successivamente, a rimuovere per così l’intasamento dall’intero albero arterioso, inclusa la parte interna della parete vascolare. (Abbildung 5).

  (Abbildung 5)

È importante sottolineare che il chirurgo non rimuove dall’arteria polmonare soltanto il coagulo, ma anche la parte interna della parete arteriosa. Per questo motivo, oggi non si parla più di “tromboendoarterectomia” (trombo = coagulo), ma solo di “endoarterectomia” al fine di evitare incomprensioni.

Questo intervento deve essere eseguito in stato di completo arresto della circolazione, poiché, come summenzionato, i polmoni vengono irrorati di sangue anche tramite la circolazione corporea e il sangue che rifluisce nell’arteria polmonare da questa circolazione ostacolerebbe notevolmente la visibilità del chirurgo. Ciò è possibile grazie alla macchina cuore-polmone, che consente di raffreddare il corpo del paziente alla temperatura di 18°C. Inoltre, si effettua il raffreddamento della testa del paziente anche dall’esterno. Immediatamente prima di eseguire la dissezione dell’arteria polmonare, si arresta il cuore e poi anche la macchina cuore-polmone, generando un completo arresto cardiocircolatorio. L’intervento sopra descritto dura in media 20 minuti. Successivamente, si ripristina brevemente la circolazione, quindi si opera l’arteria polmonare sinistra in maniera analoga. Terminato l’intervento, si ripristina la circolazione e si riscalda lentamente il corpo del paziente. Sebbene l’intervento di endoarterectomia vero e proprio duri venti minuti per arteria, l’intera procedura chirurgica, compresa la preparazione della circolazione artificiale, il raffreddamento del corpo, l’arresto cardiocircolatorio e il riscaldamento del paziente, dura circa otto ore.

La PEA rappresenta uno degli interventi chirurgici in assoluto più complessi e complicati. Dopo l’esecuzione del primo intervento nel 1970 da parte dell’équipe chirurgica di San Diego, sono stati eseguiti in tutto il mondo circa 2500 interventi, di cui più di 1500 proprio a San Diego. Una sintesi dei risultati pubblicata nel 1984 riferiva ancora di un tasso di mortalità in media del 22%. Da allora, la tecnica e l’esperienza chirurgica sono notevolmente migliorate, tanto che nei centri più all’avanguardia si registra un tasso di mortalità in media del 5%. Questi risultati vengono raggiunti comunque solo presso i centri più illustri, tanto che numerose équipe chirurgiche più piccole riferiscono ancora oggi tassi di mortalità compresi tra il 10 e il 20%. Le principali cause di morte sono il sanguinamento acuto, ad esempio a causa della lacerazione dell’arteria polmonare durante la preparazione della parete vascolare, e il cosiddetto edema da riperfusione. Quest’ultimo è un accumulo di fluidi nei polmoni al termine dell’intervento conseguente alla rivascolarizzazione delle aree polmonari temporaneamente non irrorate dalla normale circolazione. Mentre la prima complicanza è in gran parte dei casi irrisolvibile, l’edema da riperfusione è spesso risolvibile con una terapia di ventilazione protratta nell’arco di più giorni. Altri immediati problemi post-operatori che interessano circa il 5 – 10% dei pazienti sono un’insufficienza renale acuta e stati confusionali. Se l’intervento non comporta complicanze, il paziente può essere “svezzato” dalla ventilazione artificiale generalmente dopo uno o due giorni e lasciare l’ospedale dopo due – tre settimane. Successivamente, viene prevista in genere una degenza per riabilitazione della durata di tre – quattro settimane. Un’importante complicanza tardiva è la cosiddetta sindrome Dressler, che può verificarsi nel 10 – 20% dei casi dopo una – tre settimane dall’intervento. Si tratta di un’infiammazione acuta dell’epicardio e della pleura con accumulo di fluidi intorno al cuore, che può essere eliminato mediante drenaggio. Il paziente deve essere quindi avvisato sulla necessità di segnalare immediatamente eventuali disturbi al centro.

L’UniversitätsSpital Zürich dispone di servizi ottimali per un’assistenza altamente specializzata dei pazienti con CTEPH. Presso la Clinica di Pneumologia operano specialisti che si occupano di questa malattia a livello clinico e scientifico in collaborazione con cardiologi, reumatologi, specialisti in chirurgia toracica, specialisti in terapia intensiva, radiologici, anestesisti e altre discipline.

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